sabato 24 marzo 2012

Giornate FAI 2012 -Villa Madama, Oratorio dei Filippini, Villa Celimontana e Casina Vagnuzzi

Oggi, dopo una fila di 3 ore, riesco a entrare in Villa Madama grazie alle giornate FAI di primavera. Dopo un breve tragitto in navetta, ci accoglie la guida. 

Partiamo nuovamente dal Rinascimento: Leone X vuole far costruire una villa che possa rivaleggiare con quella della Farnesina di Agostino Chigi e della sua costruzione ne incarica Raffaello, il cui fantastico progetto è qui ricostruito. Il progetto comprendeva tra l'altro un teatro antico, un ippodromo e scuderie per 400 cavalli, oltre a peschiere e giardini.
In seguito alla morte di Raffaello e Leone X, l'opera passò nelle mani di Giulio Romano e Antonio da Sangallo il giovane: solamente la parte settentrionale della villa venne portata a termine e così è rimasta fino a oggi. Si curarono in particolar modo le decorazioni degli interni: Giulio Romano e Giovanni da Udine ne sono i principali artefici (affreschi di Giulio Romano e stucchi di Giovanni da Udine).
Nel primo ambiente che visitiamo possiamo ammirare arazzi alle pareti e affreschi che corrono per tutti e quattro i lati della stanza, raffiguranti putti e angeli. Belli i marmi dei pavimenti.


Nella seconda stanza, un affresco sul soffitto raffigura il sole e la luna, Apollo e Artemide; al centro lo stemma dei Medici, con sei palle rosse e una azzurra. Ai lati delle pareti vengono raffigurati degli animali: il cane, il pavone, lo struzzo. C'è anche l'emblema del leone e il motto "semper", riferimento a Leone X, nonché il "candor illesus", riferibile invece a Giulio II e raffigurante una lente ustoria che convoglia i raggi del sole a bruciare un albero ma non il cartiglio con il motto.



I mobili sono invece di epoca moderna.



Ma sicuramente il luogo incantato della Villa è il successivo: la bellissima loggia che affaccia sul giardino.
Il cardinale Giulio de' Medici, futuro papa Clemente VII, dettò i temi da interpretare per gli interni: non argomenti biblici, ma le favole di Ovidio, perché gli argomenti biblici e dottrinali erano già adeguatamente rappresentati in Vaticano.
Perciò Polifemo e Galatea sono raffigurati nella prima delle tre campate (chiaro riferimento alle terme imperiali romane), che si espandono in esedre. Un affresco di Polifemo, sempre di Giulio Romano, si trova anche sopra l'ingresso. E' il colpo d'occhio dell'insieme, comunque, che lascia a bocca aperta. Anche le grottesche, come gli stucchi, sono opera di Giovanni da Udine, vero maestro di questa tecnica antica ritrovata in seguito alla riscoperta della "Domus Aurea". Dalla loggia si può ammirare il bellissimo giardino pensile, dove oggi sopravvivono solo due delle diverse sculture eseguite da Baccio Bandinelli. Da un lato, come vedremo dal piano superiore, c'è la fontana dell'elefante, che ammireremo solo dall'alto dal momento che non c'è la possibilità di visitare il giardino. E' sempre opera di Giovanni da Udine: il papa, Leone X, aveva chiesto un disegno di Raffaello di Annone, l'elefante bianco che gli venne donato dal re del Portogallo, ma fu Giovanni da Udine che rappresentò l'animale. Questo elefante, dicono le cronache, era molto intelligente e con la proboscide soleva spruzzare l'acqua sugli astanti.






In seguito la Villa fu possesso di Margherita d'Austria, figlia di Carlo V, "Madama" da cui il luogo prende il nome. La villa fu prima dei Farnese e poi dei Borbone di Napoli, indi abbandonata al degrado del tempo.
Nel 1913 conosce una nuova vita grazie a Maurice Bergés, ingegnere francese che la affidò da restaurare a Pio Piacentini. Infine la Villa passò ai conti Dentice di Frasso, che costruirono il secondo piano per abitarvi, secondo piano che visitiamo, dopo aver salito la faticosa scala elicoidale che ricorda quella del Quirinale, e che normalmente è chiuso al pubblico.
Dal 1941 è proprietà dello Stato italiano ed è oggi sede di rappresentanza del Ministero degli Esteri.


Usciti, la guida ci fa notare come siano presenti, sul lato destro di Monte Mario, dei fossili marini.
Terminata la visita, raggiungo Piazza dell'Orologio per visitare il complesso borrominiano dell'Oratorio dei Filippini. Qui la guida ci mostra il cortile interno, opera del Borromini, e gli aranceti. A causa dei numerosi interventi, comunque, la costruzione originaria ha subito diverse modifiche. Nei locali del complesso, un tempo sede della congregazione di S. Filippo Neri, ci sono ora l'Archivio Storico del Medioevo,  la Biblioteca Vallicelliana e l'Archivio Storico Capitolino. E' possibile fare foto dalle finestre, non nei locali interni, perciò alla fine del percorso ci fanno dono di un libro che raccoglie un po' di materiale fotografico. Diamo un occhio alla biblioteca e passiamo velocemente per i locali dell'Archivio Capitolino, dove è in corso una mostra sui testamenti di personaggi famosi, che mi riprometto di visitare.



Ci vengono poi mostrati i luoghi legati a S. Filippo Neri: la cappella dove pregava, la maschera funeraria, i quadri che lo raffigurano, il refettorio ovale, il letto e il confessionale di S. Filippo, la tela del Guercino (S. Filippo e l'Angelo). Ricorrono simboli legati a S. Filippo: il "cuore fiammeggiante" indica lo Spirito Santo che il santo invocava sempre. Talvolta avvertiva delle palpitazioni al cuore, cuore che -una volta morto- si vide essere grande due volte e mezzo il normale.
Impossibile non pensare a "State buoni se potete", di Luigi Magni... fischietto il motivo di Branduardi nella mia testa durante tutto il percorso!


Domenica invece è il giorno da me destinato per il Celio: è possibile ora visitare il Ninfeo dell'Uccelliera di Villa Celimontana

La villa è forse così chiamata da Celio Vibenna, alleato etrusco dell'etrusco Servio Tullio. La guida ci dice che, dopo il Palatino, il Celio era luogo favorito dei nobili Romani. Qui ebbe una residenza anche Commodo, e fu proprio qui che il Senato lo fece assassinare. Acquistata da Ciriaco Mattei nel 1553,  la zona, che ormai era diventata una vigna, fu riorganizzata e sistemata con dei lavori che durarono più di trent'anni. Il parco era famoso per la collezione di marmi, statue e bassorilievi che formavano la collezione Mattei, la quale ora costituisce il nucleo del Museo Pio Clementino nei Vaticani, e per il resto è confluita nella collezione del Louvre. Ecco alcune ricostruzioni della villa, di come si mostrava a quel tempo.


Ci incamminiamo lungo un lato della villa, dove è possibile vedere i resti della fontana del Fiume e quella dei Mostri Marini. La statua del Fiume è in peperino, la parte sottostante è la cosiddetta spuma di travertino.



Entriamo poi da questo lato della villa attraverso uno spazio piuttosto angusto, per accedere al Ninfeo (dell'Uccelliera non c'è traccia, ma qui un registratore riproduce un canto di uccelli), dove chiaramente non è possibile fare foto. Il restauro ha restituito ai decori le originarie conchiglie. All'ingresso del Ninfeo c'è una statua di Ercole, che è sopravvissuta alla vendita della collezione Mattei. 
Oggi la villa è sede della Società Geografica Italiana.
Terminata la visita, mi dirigo verso la Casina Vagnuzzi, sulla Flaminia.
Anche in questo caso muoviamo dal Cinquecento, cui risale la struttura originaria. Nel Settecento divenne parte della tenuta Poniatowski (Stanislao Poniatowski era nipote dell'ultimo re di Polonia). Al Valadier, nell'Ottocento, fu affidata la risistimazione della casina, ristrutturazione che conferì al luogo gran parte del suo aspetto attuale. L'edificio venne poi affidato a Luigi Vagnuzzi, che l'affidò a sua volta alle cure dell'architetto Luigi Canina. Dal 1939 è proprietà del Comune di Roma, dal 1960 è sede dell'Accademia Filarmonica Romana, già fondata nel 1821 dal marchese Raffaele Muti Papazzurri insieme a un gruppo di "dilettanti" (ovverosia coloro che esercitavano musica per diletto e non per lucro).


Nel primo ambiente in cui entriamo, un salone a pianterreno, veniamo colpiti da una volta decorata a grottesche, con pittura centrale, forse un residuo dell'originaria decorazione cinquecentesca, anche se molto ritoccata. Un harmonium è presente nel salone, utilizzato da Franz Liszt a Roma.



Al piano superiore visitiamo due stanze, dove tra i vari arredi ci sono un manoscritto che si credeva originale di Beethoven e un fortepiano viennese in noce a 6 pedali.


Scendiamo di nuovo e visitiamo il giardino, dove ci mostrano i bambù, l'alloro, l'acanto, il pino bianco e il cedro del Libano. Infine entriamo in una sala dove un trio di musicisti ci fa ascoltare parte di un'opera.




L'ultima stanza è detta "degli uccellini" per la decorazione che imita un'uccelliera. C'è anche una mappa  di Roma, autentica, del Seicento.


E anche per quest'anno, grazie FAI.