domenica 13 maggio 2012

Tintoretto -Scuderie del Quirinale

Presso le Scuderie del Quirinale è in corso una mostra temporanea su Tintoretto.
La guida, dopo aver inquadrato il pittore nel suo secolo, il Cinquecento (che vede l'artista impegnarsi in un arco che va dalla morte di Leonardo e Michelangelo all'affacciarsi sulla scena pittorica di Caravaggio), e nel suo luogo, il Veneto (che Tintoretto lascerà poche volte, solo per recarsi a Mantova), ci illustra la prima sala, dove campeggia il Miracolo di S. Marco e un più modesto Autoritratto del 1546: un Tintoretto giovane, con sguardo di sfida, si mostra ai visitatori. La guida infatti dice che la sua esistenza artistica era segnata dagli sforzi per essere riconosciuta, dal momento che l'artista locale più quotato dell'epoca, cioè Tiziano, non aveva simpatia per lui, al punto che Tintoretto dovette ingegnarsi per trovare delle committenze. 
Il Miracolo di S.Marco è una tela enorme, o meglio un insieme di tele, visto che si tratta di più tele cucite insieme. In quella regione non si usava tanto dipingere su pala, perché il legno era utilizzato per le imbarcazioni, mentre d'altro canto c'era abbondanza di tele. Questo dipinto, che non è il primo di Tintoretto in ordine cronologico, è però un dipinto significativo nella carriera dell'artista, che lo realizzò per la Scuola Grande di S. Marco e che fece scandalo. Ciò avvenne perché ha un'impostazione tipicamente teatrale (segno anche dell'amore per il teatro dell'epoca): ci sono le quinte, la scena impegnata dallo schiavo nudo e lo sfondo. S. Marco interviene volando, con un azzardato scorcio (la guida dice che il Tintoretto amava gli scorci e per renderli bene utilizzava a scopo di studio dei fili con i quali sollevava i suoi figli), a proteggere lo schiavo, sul quale sono stati operati dei tentativi di tortura andati falliti, infatti il torturatore mostra gli strumenti al padrone dello schiavo, che aveva ordinato di torturare il sottoposto perché egli aveva contro il suo volere voluto adorare le reliquie del santo. L'impostazione teatrale è evidenziata anche dall'accentuata gestualità dei presenti, che si accalcano per assistere al miracolo. Le fonti di luce sono tre: frontale, l'aureola del santo e lo sfondo.
Accostandosi al quadro, è possibile notare le pennellate veloci del Tintoretto, che usava abbozzare alcune parti del quadro e rifinirne altre. Ciò risulta evidente da vicino, dove piccoli tocchi definiscono turbanti o elementi di luce. Questa caratteristica gli veniva rimproverata dai contemporanei, i quali ci vedevano una frettolosità d'esecuzione che all'epoca era considerata cosa da evitare. 



Superiamo S. Giorgio uccide il drago per esaminare La disputa con i dottori nel tempio. Giuseppe e Maria cercano il figlio e lo trovano nel tempio, mentre discute di religione con i dottori. Anche qui l'impostazione teatrale, l'accentuata gestualità segnano il marchio di fabbrica dell'artista. Verso il lato destro c'è anche una zona non dipinta, che in realtà era il fondo della tela, utilizzato dal Tintoretto come parte attiva dell'opera. 


Due tavole testimoniano invece l'amore per gli scorci: Deucalione e Pirra e Apollo e Dafne, forse ispirate dalla visione dei lavori di Giulio Romano a Mantova. 


Superiamo La creazione degli animali, per soffermarci sul Trafugamento del corpo di S. Marco. Corpo che viene trascinato lungo la città per poi essere deposto sulla pira. I pagani, tutt'intorno, non sono altro che esili figure accennate con rapidi tocchi di pennello, quasi fantasmi. Tocchi di biacca percorrono tutto il quadro, è l'acqua che cade dal cielo, le pozzanghere create dai passi e dai volumi degli attori. Di nuovo lo sfondo della tela come parte attiva, nel cielo. Stranamente, risulta finito e curato nei dettagli il dromedario. 


Adesso ci troviamo di fronte a La vergine Maria in lettura e La Vergine Maria in meditazione. Un po' Giorgione, un po' Delacroix prefigurato, tutta la luce si raccoglie attorno al personaggio di Maria. Dipinti per la sala inferiore di San Rocco, con una committenza un po' costruita, poiché per il concorso indetto lui inviò proprio i quadri finiti e realizzati in poco tempo, vincendo così la competizione. 


Due sono le Ultime Cene qui presenti; una del 1561, l'altra del 1575. Nella prima l'ambiente è alquanto squallido, notiamo il pavimento sporco. Gesù ha appena detto che qualcuno tra di loro lo tradirà, ma ancor oggi non riusciamo a individuare con sicurezza Giuda. Al di là di questo, è la scena scomposta, impensabile per un Leonardo, a colpire il visitatore. Sullo sfondo, una Sibilla, e sul lato sinistro, una Parca. In primo piano, sulla sinistra, uno dei figlioli dell'artista.
Nella seconda Cena, l'ambiente è più pulito e il gesto di Cristo dello spezzare il pane, che lo porta a formare nella posizione una croce, è ripetuto dai suoi discepoli. La donna, sulla sinistra, è più grande nelle proporzioni perché il quadro sarebbe stato collocato in una prospettiva tale che avrebbe ridimensionato questa figura dal punto di vista dello spettatore. 


Segue un bozzetto, per il Palazzo Ducale, del Paradiso -veramente bellissimo. Tintoretto perse il concorso per realizzare il dipinto, ma alla morte di Veronese l'incarico venne affidato a lui, che lo realizzò modificando il progetto originario e facendosi aiutare dalla sua bottega e soprattutto dal figlio Domenico. 


Segue La Madonna dei Tesorieri, che chiude questa prima parte della mostra. I tesorieri recano omaggio alla Madonna, mescolando così sacro e profano. I volti dei tesorieri, committenti, sono ben definiti, a differenza del volto del bambino. 


Al secondo piano, la prima sala è dedicata alla ritrattistica. Tintoretto ne realizzò tantissimi, di ritratti. Come illustrato dalla guida: il suo interesse era ricoperto soprattutto dagli occhi e dall'espressione. Minor interesse era invece riservato alle vesti, che talvolta fanno un tutt'uno con lo sfondo, scuro.
Ecco il Ritratto di Jacopo Sansovino, Ritratto d'uomo con la barba bianca, Ritratto di Giovanni Paolo Cornaro. Quest'ultimo, detto Delle Anticaglie, è ritratto appunto con gli oggetti del suo desiderio. 


La sala successiva è dedicata alla bellezza. E veramente bellissimo è il dipinto di Susanna e i Vecchioni. La purezza della pelle di Susanna, che raccoglie tutta la luce, ed è fonte di essa, sta a rappresentare la purezza della Chiesa. Piccoli tocchi di biacca rendono il mulinello d'acqua causato dal movimento della sua gamba. 


Venere, Vulcano e Marte vengono rappresentati in due tele: in una sembrano quasi una Sacra Famiglia, nella seconda Vulcano sta cercando il traditore Marte, il cui nascondiglio viene indicato allo spettatore da un cagnolino. 

Altra sala è dedicata alla Maniera, ossia agli artisti che più che indagare e rappresentare la natura, studiavano gli artisti che l'avevano indagata e osservata. Ecco Il buon governo del Veronese e il Ritratto di Gabriele Tadino del Tiziano, poi l'Annunciazione, sempre del Tiziano, e La Madonna con il bambino del Parmigianino. In quest'ultimo vengono rappresentati anche san Giovannino, san Zaccaria, la Maddalena con il vaso di unguenti..



Un'altra sala mostra i lavori della bottega del Tintoretto. Ecco il Viaggio di S. Orsola con le 11.000 vergini, il Ritratto di donna che scopre il seno e la Danae



L'ultima sala mostra La deposizione di Cristo nel sepolcro, ultimo quadro dell'artista, e un Autoritratto nel 1588, in cui si mostra ormai vecchio e presago del futuro. 


Questa è solo una selezione di quanto esposto in mostra, che vale decisamente una visita.

domenica 6 maggio 2012

Museo d'arte orientale Giuseppe Tucci

Situato in via Merulana, il Museo d'arte orientale Giuseppe Tucci ospita una temporanea con vari pezzi sull'iconografia degli dei indiani. Ecco Shiva e Parvati (Yuzo Takada approva). 



Ed ecco la dea madre nel suo aspetto "Durga". 


Ma il Museo ha -chiaramente- anche una collezione permanente. Ci raggiunge la guida che illustra la prima stanza del museo, organizzato in senso spaziale e cronologico: prima le regioni del vicino Oriente, poi l'India e infine Corea, Cina e Giappone, dal pezzo più antico al più recente. Sono qui raccolti tra gli altri i pezzi dell'orientalista Giuseppe Tucci. 
Aggiunge inoltre che il Museo è allestito all'interno di Palazzo Brancaccio, di cui ci viene narrata una breve storia, focalizzando in particolare la vicenda di Elizabeth Field, sposa di Salvatore Brancaccio, appartenente a una nobile famiglia napoletana. La Field era ricca ma non nobile e per non sfigurare si inventò uno stemma, raffigurante spighe di grano, ispirate dal suo cognome.
Nella prima sala sono raccolti reperti dall'Iran, del terzo e secondo millennio a.C. Ci viene mostrato il vasellame: gli esemplari più arcaici sono policromi, quelli più recenti invece risultano più semplici, per poter essere prodotti in serie, con pochi minuti di tornio veloce, e forse essere gettati dopo un po' di tempo. 


Seguono oggetti di uso quotidiano, come i pestelli e gli oggetti ricavati da materiali come la pietra, la corniola, l'alabastro. Sono presenti anche resti di tessuti e di legni, provenienti dal sito di Shahr-I Sokhta, antico insediamento che ha subito degli incendi prima di essere abbandonato definitivamente. I pezzi sono stati trovati dall'IsMEO (oggi IsIAO), fondato dallo stesso Tucci. Importanti anche i lapislazzuli, provenienti dal sito indicato.




Ecco dei piccoli vasi tripodi, con ceramica dipinta e incisa, seguiti da esempi di oreficeria e armi.  


Olla con versatoio antropomorfo, dall'Iran centrale (primo millennio a.C.) e vasi teriomorfi (fine II millennio a.C.).


Risalgono al I millennio questi terminali in bronzo raffiguranti il "Signore degli animali", che strizza gli animali nocivi e salva quelli che possono giovare all'uomo. 


Il "Signore degli animali" è presente anche in questi sigilli risalenti al secondo millennio. 


Ci occupiamo adesso dei Parti, il popolo che più diede filo da torcere ai Romani, dal III secolo a.C. al III secolo d.C. Le tracce dell'influenza greca (risalenti alla conquista di Alessandro Magno) permangono nei rhyton, assieme a motivi zoomorfi della cultura di appartenenza. Anche questo rilievo funerario di Palmira presenta elementi comuni alle due culture (il panneggio sottile è motivo greco). Seguono esempi di oreficeria.


Entriamo nella sala dedicata all'Arte Islamica: dopo i Parti e i Sasanidi, ecco avanzare l'Islam.
Esempi di ceramiche invetriate a colature (X sec.) e invetriate policrome.  


La scrittura araba diventa motivo decorativo. Nella prima c'è scritto un aforisma sul tema della ricchezza, nella seconda l'equivalente del nostro "buon appetito". 


Ecco la ceramica invetriata a impasto artificiale.


Spariscono le raffigurazioni degli esseri viventi, per essere rimpiazzati da motivi geometrici.


Orecchini ed elementi di armatura (elmo e scudo) in acciaio (Iran XVIII secolo). 


Segue l'arte del Gandhara: i reperti sono stati ricavati da una spedizione dell'IsMEO in Pakistan.


Bellissimo questo rilievo con suonatrice di liuto e danzatrici, in schisto, risalente al II-IV secolo d.C.
La guida ci fa notare come questo rilievo sia stato concepito per essere visto spostandosi intorno a esso, secondo una prospettiva che viene definita volvente. In effetti muovendoci da destra a sinistra nuovi particolari si impongono alla nostra attenzione.



Ecco i bodhisattva, tra cui Maitreya. I bodhisattva intraprendono il loro cammino spirituale per aiutare gli esseri umani a raggiungere l'illuminazione.

Esempi di mandala del Tibet.




Il bodhisattva Padmapani, in lega metallica con pietre dure e turchesi (XI-XII secolo) e un bodhisattva femminile.

Importanti per il Tibet sono il te' e le teiere.


Ecco infine una stupa, attorno alla quale ripercorriamo le testimonianze del cammino del Buddha. C'è tutta la sua storia, dalla sua nascita in poi.


Entriamo nella sezione dedicata al Giappone e alla Cina. Sono qui riuniti vari esempi di ukiyo-e, le "immagini del mondo fluttuante". Nella stessa stanza, un arazzo raffigurante nove draghi della Dinastia Ming (Cina, 1368-1644).



Uno specchio del V secolo a.C. e le monete a forma di coltello e vanga.


 Esempi di oreficeria. La seconda foto mostra una collana di madreperla e fibra vegetale dell'isola di Luzon.


Entriamo infine nella sala più bella: è la camera da letto dei Brancaccio.




Qui sono raccolti oggetti dalla Cina, in giada e avorio. Ecco una coppia di vasi decorativi a forma di fenice, del secolo XVIII.



Porcellane del tipo "Imari" e Ming. 


Questa è solo una parte di ciò che contiene il museo, che val bene una o più visite.