domenica 23 febbraio 2014

Anni 70 - Arte a Roma

Interessante la mostra sugli anni Settanta a Roma, al Palazzo delle Esposizioni fino al 2 Marzo 2014.
Il percorso inizia con una raccolta fotografica dedicata a due mostre nella capitale degli anni Settanta: Contemporanea e Vitalità del Negativo, quest'ultima allestita proprio nel Palazzo delle Esposizioni.
La prima opera appartiene a Gino De Dominicis: Il tempo, lo sbaglio, lo spazio, del 1969. Uno scheletro (vero) indossa dei pattini a rotelle: l'uomo, prendendo atto che il suo tempo non è infinito, si muove nello spazio più velocemente possibile. Ma anche il suo spazio non è infinito, da qui lo sbaglio e la riflessione sull'immortalità che anima l'artista.

Una prima sala è dedicata alla Carne/Immaginario: Burri incontra De Chirico, di cui Il poeta e il pittore ricorda il linguaggio metafisico e la doppia autocitazione, quella dei manichini e del quadro alla parete. La guida sottolinea l'ambiente angusto e la maggiore attenzione alla parte superiore del corpo dei soggetti, essendo quella inferiore relegata in secondo piano. Paolini con Mimesi anticipa il tema della sala seguente: il doppio. Nell'era della riproducibilità dell'arte, ci si chiede cosa sia l'arte stessa.

Il doppio: doppio autoritratto nelle foto di Luigi Ontani, come Pinocchio e come Dante. E chi ritrae chi nella sequenza di Carlo Maria Mariani, Mengs, Maron, Mariani, 1974?




Nella sala dedicata a L'altro, l'opera d'arte richiede la collaborazione del fruitore che da passivo diventa attivo. Sarà pertanto invitato a scrivere cosa evidenzia l'oggetto d'arte chiamato "evidenziatore", oppure a estrarre delle asticelle metalliche da contenitori, modificando l'opera d'arte stessa.
Il linguaggio: ecco Vincenzo Agnetti e il suo Libro dimenticato a memoria, dove le parole del libro sono assenti. Joseph Konuth ci pone davanti una sequenza di orologi: solo se ci soffermeremo a guardarli, ci accorgeremo che uno di questi, il 2.2, è fermo. Qual è il tempo giusto? Probabilmente nessuno di questi segna l'ora esatta, il tempo lo portiamo con noi, non è negli orologi.
Sergio Lombardo, in Progetto di morte per avvelenamento, ci invita a leggere la lettera solo dopo aver ingoiato il veleno che l'accompagna. 


Nel Sistema, si ripete un unico elemento-base per creare un sistema ogni volta diverso, una sorta di molecola dell'arte. Spazio al "pettine" di Capogrossi, a Enrico Castellani (Superficie bianca, 1976). Il disegno si fa scultura con Marisa Merz (Senza titolo). Un'ultima grande sala riassume i temi affrontati: All è il tema, infatti.

Qui il piano di Kounellis attende che qualcuno esegua la musica prevista, qui possiamo giocare con Alighiero Boetti a Mettere al mondo il mondo nella sua Mappa ricamata a mano su lino.

Quelle qui elencate sono solo alcune delle opere presenti in mostra.

venerdì 14 febbraio 2014

Villa Hüffer e Palazzo Cesi - Giornate FAI 2010

Ho ritrovato da poco alcune foto scattate in occasione delle giornate di Primavera del FAI del 2010: Villa Hüffer e Palazzo Cesi. Trattandosi di luoghi non facilmente accessibili, ho deciso di rendere disponibili le foto con qualche piccola informazione a riguardo.

Villa Hüffer: trattasi di villa ottocentesca costruita per l'imprenditore tedesco Wilhelm Hüffer (molto lodato da D'Annunzio per l'eleganza e il comfort dei suoi ambienti). Oggi è proprietà della Banca d'Italia che ne ha fatto il suo archivio storico. Si trova presso la stazione Termini, all'inizio di Via Nazionale.
La prima cosa che si vede della villa, una volta entrati dal cancello, è il roseto:


Indi l'ingresso vero e proprio (che in realtà è uno dei due ingressi):


La guida spiega che l'edificio è stato da poco restaurato e quella è proprio l'entrata autentica, con una pensilina in ferro e vetro, realizzata in Francia dalla Maison André. 
Entriamo nell'atrio:


dove ci si spiega che le colonne architravate si alternano ai bassorilievi, entrambi gli elementi in bicromia, bianco e grigio. In effetti tutto l'ambiente è bianco e grigio.
Saliamo al primo piano:


Mentre saliamo notiamo che sopra di noi si apre una cupola a mezza conchiglia, sotto di noi altre scale portano al secondo ingresso che useremo poi come uscita:


Siamo al primo piano... non posso descrivere la sorpresa, perché ciò che intravediamo è un rosso intenso negli interni in contrasto con tutto il bianco e grigio che ci avvolge. Nella foto si intravede soltanto, sulla sinistra:

Siamo ora nel foyer, completamente avvolti dal damasco rosso:

Non posso fare foto alla stanza perché è piccolina e ci siamo noi, non si vedrebbe niente. Ci viene spiegato che il cuore del piano è la grande sala da ballo: le altre stanze si dispiegano attorno a essa come dei petali attorno alla corolla.
Ora siamo perciò nel primo petalo.
Entriamo nel secondo "petalo" e siamo circondati dal giallo:


Sotto di noi, i marmi originali. Ci viene spiegato che di tanto in tanto compare la lettera "H" di Hüffer. Le maniglie sono realizzate su imitazione francese (dice la guida, tipo Versailles), i lampadari di bronzo dorato.


Terza stanza, terzo petalo! Ora siamo avvolti dall'azzurro. Siamo nel salottino di Costanza Grabau, moglie di Hüffer. Qui c'è la toeletta che serviva alle signore per truccarsi.



Ora entriamo nella "corolla": la sala da ballo! E' veramente spettacolare:


I nobili dell'epoca facevano carte false per essere invitati alle sfarzose feste da ballo degli Hüffer.
La sala è incredibile: alle pareti ci sono 12 scene dipinte da Annibale Brugnoli (liberty a go go).  



La guida spiega che se abbiamo visto tanti specchi nelle stanze è perché all'epoca, non essendoci una forte illuminazione, servivano a moltiplicare le luci esistenti.
Usciamo dalla corolla ed entriamo in un altro petalo, azzurro. Il soffitto ha un bel dipinto da cui parte il lampadario. Il soggetto del dipinto è la fortuna, infatti ha tra le mani un dado con il numero 3 e siede su un'altalena, a simboleggiare che non c'è nulla di certo.



Altro petalo! Torniamo nel giallo e in questa stanza sono dipinti nella parte superiore delle pareti amorini che ritornano dalla festa, tutt'intorno alla stanza.



Particolare del soffitto. Dopo un altro petalo (rosso) usciamo infine dalla villa, che un tempo aveva un giardino che arrivava fino al Quirinale, ma oramai è rimasto poco.


Palazzo Cesi.
Entriamo nel palazzo, situato in Via della Maschera d'oro. Ci accoglie un bel cortile interno, alberato, con statue che si alternano a piante: un'atmosfera di grande pace. 



La guida ci spiega che Palazzo Cesi appartenne in origine ai Gaddi, una famiglia di ricchi mercanti toscani che nel Quattrocento da Firenze si trasferirono a Roma. Avevano fatto decorare la facciata in questo modo:

Ma di tutto ciò oggi rimane questo (fotografato dal primo piano del Palazzo, perché altrimenti non si vede!):



La guida dice che sono state le intemperie, ma soprattutto il sole -che batte sulla facciata- a rovinare le pitture, che cronache dell'epoca dicono stupefacenti.
In seguito i Gaddi nel Cinquecento vendettero il Palazzo ai Cesi, una famiglia dell'Umbria. Qui nacque Federico Cesi, fondatore dell'Accademia dei Lincei.
Saliamo, l'ambiente è piuttosto spartano, tranne una stanza degna di nota, dall'imponente lampadario, che sembra essere l'unica cosa rimasta del periodo. In questa stanza si riunirono i membri dell'Accademia, tra cui Galileo.


In questo dettaglio del dipinto alle pareti, c'è lo stemma dei Cesi.

Negli anni Quaranta il palazzo è passato al Ministero della Guerra, ospitando il Tribunale Supremo Militare. In uno sgabuzzino è stato rinvenuto nel 1994 il cosiddetto armadio della "vergogna", che conservava centinaia di fascicoli occultati riguardanti crimini di guerra durante il fascismo. In questa stanza si è svolto il processo a Priebke.