Il 29 Luglio 2013, ore 6.00 della mattina, atterro all'aeroporto Changi di Singapore, dopo essere stata coccolata fino allo sfinimento dalla confortevole Singapore Airlines: undici ore e mezzo di amorose cure a prova di turbolenza. Il batik è bello, il batik ti rassicura.
Un piede fuori dell'aeroporto e mi investe un getto di aria calda.
Il primo impatto con il clima è la netta consapevolezza fisica di essere chiusi in una pentola a vapore. Ma vie di scampo ce ne sono quante si vuole: basta entrare in un taxi, in un negozio, in un appartamento. L'aria condizionata è quasi sempre altissima... obbligatoria una giacchetta salvavita, da mettere e togliere secondo le necessità.
Venti minuti di taxi e sono ad Ang Mo Kio. In teoria, periferia di Singapore. Di fatto, non si trova una carta a terra neanche a cercarla con la lente d'ingrandimento... è tutto pulito, tutto perfetto.
Feng Shui is all around us.
La casa è grande ma ci sarà tempo di esplorarla: ora devo uscire e non c'è fuso orario che tenga.
Mi aggiro da infiltrata al Politecnico Nanyang, l'equivalente di sessanta campi da football attraversati da cervelli in ebollizione. Sfilano davanti ai miei occhi i progetti di studenti diciassettenni che relazionano circa il frutto delle loro fatiche: due minuti di disegni animati accompagnati da book con bibbia dei personaggi, possibilità di sfruttamento multimediale, target e messaggio del prodotto. Piccoli Disney crescono. È bello stare a contatto con giovani menti creative.
Verso le 12, implacabile, il jet lag reclama il suo tributo. Tre ore dopo, sono di nuovo in circolazione. Girello nel centro commerciale di Ang Mo Kio, dove il mio campo visivo è catturato da Fruit Paradise, il paradiso della frutta mutata in seducenti, golosissime torte. Avrò senz'altro occasione di metterle alla prova. But not tonight.
Una cena leggera a base di riso e pollo fritto condito con singlish e sorrisi mi aspetta prima che un meritato coma metta a dormire tutte le emozioni.
I giorni seguenti sono un'altalena tra lavori degli studenti al Politecnico e visite serali nel centro di Singapore. La metro è veloce, affollata ma dalla temperatura polare, a causa dello sregolato utilizzo di aria condizionata.
Orchard Road è testimone generosa della tendenza diffusa allo shopaholic. Salvo sparuti casi, i singaporeani non fumano e non bevono. Ma comprano. E tanto.
Qui del resto c'è tutto quello che puoi desiderare e anche di più, con tutti gli effetti speciali di cui si può disporre. I pesci virtuali che nuotano sul soffitto sono metafora dell'acquirente che si aggira come un pesce rosso in cerca della boccia giusta, la Mastercard a guidarlo come lanterna speciale.
Scale arcobaleno intermittenti, soffitti multicolori: tutto per stordire il danaroso turista. Muji è un negozio che vende oggetti risultati dal riciclo dei materiali più disparati. Si trova anche a Torino. Non così per Kinokunija, la libreria che ha uno scaffale per ogni nerd del mondo.
E non chiederti per chi suona la campana di Lacoste: essa suona anche per te, Osamushi fan. La Lacoste ha infatti reso disponibili polo e magliette a tema Atom e Black Jack.
È poi un'impresa disperata elencare anche solo parzialmente l'infinita serie di fast-food, ristoranti, gelaterie, pasticcerie che si offre agli occhi dell'affamato avventore. L'offerta gastronomica è praticamente illimitata: qui si mangia a tutte le ore, le cucine non chiudono mai. Mos-burger è un fast food giapponese che marcia alle spalle di Mc Donald, Toast box è l'hit più gettonata per la colazione mattutina, the Cold Stone è la gelateria che mischia il gelato sulla pietra prima di servirlo in coppetta di wafer, da Ichiban Sushi la fila per un tavolo è eterna come quella per pagare alla cassa. La cucina è lotta libera tra la cinese, la thai, la giapponese, l'indiana e la malese. Per quel che mi riguarda, la malese mette al tappeto. Al supermercato compri ciliegie dall'Australia, melone dall'Hokkaido e mango dalla Thailandia: rispondono all'appello tutti i tipi di frutta esistente, e su tutti troneggia incontrastato il Durian, il cui effluvio esotico di tanto in tanto ti raggiunge mentre muovi tra una bancarella e l'altra.
In serata puoi scegliere di vedere un film. Rigorosamente in originale, sottotitoli in cinese.
Se muovi al Marina Bay, puoi vedere un musical e scoprire che sognavi il Fantasma dell'Opera senza saperlo.
Lungo la strada per casa, ti raggiungono per salutarti i gatti, ben pasciuti. I gatti devono vivere fuori dagli appartamenti, i cani solo dentro i medesimi perché, essendo impuri per i musulmani, non possono girare liberamente per le strade ma solo in aree apposite. L'isola è infatti un pout pourri di etnie e religioni: cinesi buddisti, malesi indù, indiani musulmani, eurasiatici cristiani. Una chiesa per ogni credo, e il reciproco rispetto eletto a suprema divinità.
Little India è un fiume di vie strette e case basse, di colori complementari mischiati all'oro, oro infinito per la sposa, donna agghindata come una madonna. L'odore intenso delle spezie può coprire quello del sudore e del sangue del trafiggitore in viaggio verso il tempio indù durante la festa di Thaipusam.
Il mango lassy qui ha un sapore verace, il daal giallo è un sole macchiato di prezzemolo.
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Arab street si distingue per le viuzze ricche di negozi a buon mercato, sotto la preghiera del muezzin della moschea che dà un tocco di Notti arabe firmato Disneyland. Caleidoscopiche le stoffe, il batik, le vesti e l'oggettistica. Qua il felafel è imbottito di spezie fino a scoppiare.
Haji Lane è la via di una dimensione altra e magica, peccato che non esista macchina fotografica capace di catturarne le atmosfere colorate. Shop deliziosi, curati nei dettagli, invitano a prolungare l'esperienza seguendo le scale di mattoni gialli al secondo piano.
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Nel parco di Bishan si alternano dog space, SPA mimetizzate nella foresta pluviale, ricordi di fiumi con pesci litigiosi per un metro d'acqua, ristoranti con un certo sapore del colonialismo che fu -effetto dovuto forse al ventilatore attaccato ad assi di legno. Da Canopy si possono ordinare spaghetti al sugo con gamberi e pizza.
Con un cambio di metro da Ang Mo Kio si raggiunge il centro di Singapore. Obbligatorio lasciarsi fagocitare dal caleidoscopio di centri commerciali (BUGIS, Iluma), ambire alla sala da tè del Raffles Hotel, memento del colonialismo inglese, e chiedere una caramella alla dea della misericordia (Kwan Yin) nel tempio buddista. Qua e là, a profumare la calura, l'aroma del frangipane.
Il ristorante che cerchiamo non esiste più: hanno buttato giù il palazzo moderno per farne uno ultramoderno. Cosa che pare capiti spesso da queste parti: cerchi un quartiere, trovi un cratere.
Nel ristorante cinese vegetariano scelto come sostituto ti portano glutine mimetizzato da carne di maiale accompagnato da asparagi, funghi, zenzero, aglio e piselli in baccello. Nella zuppa trovo anche il mais. Il dolce è una castagna d'acqua che galleggia in un lago di fagioli rossi, la bevanda principale è tè al gelsomino. Conto finale: 51 dollari singaporeani.
La sera una fetta di nutty caramel, da
Fruit Paradise, corona la giornata.
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Pomeriggio al
Marina Bay Center, dal formidabile skyline e dal caratteristico
Marina Bay Sands, praticamente l'incrocio tra un grattacielo e una nave, all'interno della quale c'è il Casino, oltre alla piscina e un paio di ristoranti. Ai piedi della costruzione sboccia un fiore di loto. Nel caso ci si dimentichi che siamo in Oriente. Assistiamo alle prove per la parata, dal momento che si avvicina la ricorrenza dell'Indipendence Day: quarantotto anni di indipendenza innaffiati dal
Merlion, metà pesce e metà leone, simbolo dell'isola.
All'interno il centro commerciale si chiama
Shoppe. Una volta usciti, si possono visitare i
Gardens by the bay. Si tratta di due costruzioni che inventariano la flora nei vari continenti, una sorta di Arca di Noè riservata ai vegetali. Di notte una visione che viene dal futuro ci illumina d'immenso. Sono alberi di metallo -attorno ai quali crescono rampicanti veri- che raccolgono energia solare per la zona circostante. D'un tratto, veniamo proiettati di qualche secolo in avanti. Dal momento che l'acqua utilizzata nell'area è quella raccolta dalle piogge, qui tutto è autosufficiente e l'uomo, non più necessario, può ritirarsi dietro le quinte, ad ammirare lo spettacolo sul palcoscenico. Da brivido.
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La palma del migliore ristorante va al
Ling Zhi Vegetarian Restaurant, dove è possibile gustare:
Arachidi bollite con salsa piccante e il Mushroom-Chestnut Satay (involtino con funghi, castagne e carne vegetariana), con immancabile ciotola di riso bianco.
Segue l'Anatra vegetariana e i deliziosi Mango mousse Rolls, dolcissimo mango avvolto nel mochi, nella crema e nel cocco. Il tutto innaffiato da tè al crisantemo a volontà. Totale 58 dollari singaporeani.
Ecco il mango parfait, da Ichiban Sushi.
Ma Singapore non è solo un centro commerciale galattico e un melting pot mangereccio. È anche un luogo in cui è possibile ritrovare se stessi nella natura.
Ecco i Must-see:
Orto botanico e
giardino delle Orchidee.
L'Orchidea è il fiore nazionale, per cui il giardino ne raccoglie tantissime, alcune molto rare. La mia preferita è la spider lily, che non è affatto rara e la si trova un po' ovunque sull'isola.
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Lo
Zoo di Singapore è veramente spettacolare, perché sei a contatto diretto con gli animali. Quelli innocui, naturalmente. Perciò puoi litigare con le scimmie, accarezzare piccoli mammiferi, rabbrividire a causa di pipistrelli che svolazzano sopra il tuo capo. Vedere i panda è un'emozione grandissima, così come ammirare l'orso polare, i pinguini, il varano, i lamantini, i coccodrilli. Si può anche fare un giro sugli elefanti.
I grandi predatori si possono comunque vedere da vicino, protetti da un vetro.
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Un'esperienza irrinunciabile è il
Safari di notte. Gli animali nella giungla sono svegli di notte, perciò con dei percorsi a piedi o sul trenino si può partecipare alla loro vita notturna. E sì, è inevitabile l'effetto Sandokan quando, illuminati dalle stelle in mezzo alla vegetazione, si ascolta sorpresi il ruggito della tigre della Malesia.
L'
acquario dell'isola di Sentosa -un'isola consacrata interamente al divertimento- è forse meno grande di quello di Genova, ma comunque spettacolare. Delfini, squali, mante e meduse sono creature che volano in spazi che sembrano sconfinati al visitatore abbagliato dalla loro silenziosa bellezza. Sulla stessa isola è possibile visitare il parco degli
Universal Studios, che però, a causa della chiusura di alcuni spazi, non mi sento di consigliare quanto l'acquario. Anche su quest'isola il Merlion fa la sua figura.
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Obbligatorio anche un giro a Chinatown. Dove lungo la stessa strada sfilano, senza l'ombra di un conflitto, la moschea, il tempio indù, il tempio detto del "dente di Buddha", veramente magnificente, e la chiesa cristiana. Insomma, un buon sunto di quello che è Singapore. Un caotico mercato, un piccolo museo con negozi cinesi d'epoca, l'immancabile centro commerciale dove puoi trovare anche un intero negozio dedicato a Tin Tin coronano il tutto. Manca solo il raviolo cinese e il dolce di cocco a far la parte della ciliegina sulla torta.
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Non può mancare l'angolo culturale. Il museo del mio cuore è il
Peranakan Museum. La cultura Peranakan è il tocco di classe di Singapore: i Peranakan sono i cinesi di varia provenienza che all'inizio del secolo, sposando malesi, hanno dato origine a una cultura ricca ed elaborata, in grado di creare manufatti stupefacenti, qui riuniti per la gioia dei turisti. Il museo non è particolarmente grande, ma è spalmato su due piani che documentano sul matrimonio, sulla religione, sui codici di comportamento dei Peranakan.
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In quest'isola, una volta che ci si è abituati al clima, all'umidità e all'aria condizionata, si vive una vacanza all'insegna della meraviglia e della serenità. I temporali non fanno paura: un sistema di tettoie è costruito appositamente per far in modo che le attività quotidiane proseguano senza interruzioni. La criminalità è ridotta al minimo... vige la pena di morte, le regole sono fatte per essere rispettate ed è bene che i visitatori ne siano consapevoli, per regolarsi di conseguenza e non sporcare in giro. Comunicare non è difficile: l'inglese è la prima lingua, anche se non è raro imbattersi in derive locali come il singlish. Ciò che più colpisce è il modo che qui è stato trovato di convivere tra diversi. Nella metro le indicazioni sono in quattro lingue: inglese, cinese, tamil e malese. Il Ghost Festival non ha problemi a convivere col Ramadan. Il fatto che alla mensa scolastica, quando riponi il vassoio, tu possa scegliere tra l'area halal e non halal ti fa capire che "rispetto" non è solo una parola. Il diverso conosce il diverso e lo rispetta.
Per chi ha voglia di fare una vacanza all'insegna della trasgressione, aggiungo che questo è il posto dove "farsi una canna" significa ordinare una bibita a base di canna da zucchero.
So, go to see Singapore, o' ready!