domenica 11 marzo 2012

Homo Sapiens

Oggi ho potuto usufruire di una visita guidata al Palazzo delle Esposizioni, dove è stata prorogata fino ad Aprile una mostra sull'Homo Sapiens che raccoglie reperti, calchi e testimonianze tese a ricostruire la storia dell'uomo sul nostro pianeta.
La mostra muove dall'Ardipithecus ramidus, alcuni resti del quale sono stati ritrovati in Etiopia e risalgono a 4,4 milioni di anni fa: sono perciò più antichi dell'Australopithecus Lucy (datato intorno ai 3 milioni di anni fa). Come l'antropologo ci spiega, l'Ardi aveva un alluce mobile nel piede, che probabilmente gli serviva per arrampicarsi sugli alberi delle foreste. Andava per lo più a quattro zampe, era diverso quindi dall'Australopiteco, bipede, e dall'homo Ergaster, cui la mostra dedica la prima sala.
L'homo Ergaster è un bipede, un ominide che risulta stanziale in Africa due milioni di anni fa. Ci viene qui mostrato un calco dello scheletro del "ragazzo del Turkana", scoperto vicino al Lago Turkana in Kenia. Accanto allo scheletro, c'è un'ipotesi di ricostruzione in plastica: pelle nera, era altissimo (un metro e sessanta) nonostante avesse 9-10 anni. I bambini dovevano svilupparsi in fretta perché rapida era la necessità di doversi rendere autosufficienti. Probabilmente questi ominidi divennero bipedi a causa del cambiamento del paesaggio: dalla foresta alle praterie. L'uomo, prima ancora di mettere in moto il cervello, ha cominciato a camminare su due zampe.

"Nel momento in cui abbiamo cominciato a diventare umani, abbiamo anche iniziato a vagare negli spazi aperti, a solcare le praterie, ad attraversare vallate e istmi, a cercare qualcosa oltre la collina."

Concetto cardine della mostra è dimostrare come l'evoluzione non sia un processo lineare, dall'australopiteco all'homo sapiens, ma complesso e ramificato, fatto anche di esperimenti che sono falliti.
Nella sala seguente, ci viene presentato l'homo Heidelbergensis (con riferimento ai resti presso Heidelberg, nel Baden-Württemberg, Germania, sulle rive del fiume Neckar), probabile discendente dell'Ergaster e risalente a 500 mila anni fa, riconducibile alla seconda fase di espansione in Europa: in pratica la comune origine africana dei vari gruppi di ominidi si sovrappone a diverse "diaspore" che proprio dal corno d'Africa vedono ampliare il raggio dell'orizzonte verso l'Asia e l'Europa, e poi verso gli altri continenti.
Vengono qui riprodotte le cosiddette "Ciampate del diavolo", delle orme fossili di ominidi Heidelbergensis di circa 380-350 mila anni fa, nelle vicinanze del Vulcano di Roccamonfina, un vulcano spento in provincia di Caserta. Sono tra le orme più antiche mai trovate del genere Homo: possiamo immaginare che il vulcano, in attività, abbia spaventato questi ominidi che scendevano dalle pendici della montagna di fretta, inciampando nella cenere e perciò lasciando queste orme enormi, del "diavolo" nell'immaginario del luogo.

Nella sala successiva viene svolto un altro concetto cardine della mostra: quella umana è un'unica razza, giovane e africana. Veniamo tutti dall'Africa, poiché dall'Africa proviene il gruppo di ominidi che poi risulterà dominante e l'unico ancora esistente, il sapiens. E' possibile dimostrarlo dal DNA: l'homo sapiens emigra dall'Africa 200.000 anni fa e incontra altri gruppi di ominidi, frutto di precedenti migrazioni dall'Africa. Il corredo genetico dimostra una linea materna ben definita, una "Eva mitocondriale", che è simbolica, ossia è una donna che ha veicolato le caratteristiche dell'homo sapiens. Ma non è certamente la prima donna, visto che era figlia di un'altra donna.

O, come meglio definito nella brochure della mostra:
"Quando la nostra specie Homo sapiens nacque in Africa, intorno a 200 mila anni fa secondo i dati genetici e archeologici, una delle sue prima attività sembra sia stata quella di… spostarsi! Ma il Vecchio Mondo era già affollato di specie del genere Homo fuoriuscite dall’Africa in almeno due ondate precedenti. Così i nostri antenati sapiens, uscendo dall’Africa forse anch’essi più volte a ondate successive ed espandendosi di regione in regione, hanno incontrato i loro cugini più antichi, hanno lungamente convissuto con loro negli stessi territori, fino a quando – in tempi recenti e per ragioni non ancora chiare, forse a seguito di una competizione demografica per le risorse – siamo rimasti l’unico rappresentante del nostro genere sulla Terra, con quella nostra faccia piatta, le gambe lunghe, i lobi frontali ben sviluppati. Un’evenienza assai tardiva, e forse contingente: fino a quaranta millenni fa, un battito di ciglia del tempo geologico, ben cinque specie del genere Homo vivevano tutte insieme nel Vecchio Mondo".

Una stanza dimostra come l'homo di Neanderthal, discendente dall'Heidelbergensis, e il sapiens abbiano convissuto nelle stesse zone, e come questi sia nostro cugino stretto, avendo il 99,84% del genoma in comune con il nostro. Aveva caratteristiche particolari: rispetto al sapiens, sensi più acuti, specie la vista, che gli occorreva essendo cacciatore. Il collo era più stretto (viveva in zone più fredde) e questo implicava che non potesse articolare tutti i suoni che era in gradi di produrre il sapiens: il linguaggio dunque era diverso.
C'è qui un'ipotesi di riproduzione del cosiddetto "Bambino di Lagar Velho", scoperto in Portogallo, che presenta tratti neandertaliani e sapiens. E' forse la prova di una possibile unione dei due gruppi? Non è detto, potrebbe anche essere un caso dovuto alla comune origine di sapiens e neanderthal.

Un'unica razza, diverse specie: dall'erectus deriva l'homo Floresiensis, che da 900.000 anni fa fino a 12.000 anni fa risiedeva nell'isola di Flores, in Indonesia. La sua altezza media superava di poco il metro: era rimasto isolato e a causa del nanismo insulare si era progressivamente rimpicciolito, ma aveva tutte le caratteristiche degli ominidi. E' stato soprannominato per questo "hobbit". Anche se non ci sono tracce di convivenza tra sapiens e floresiensis, possiamo supporre che ci siano stati contatti tra i due. Essendosi estinto 12.000 anni fa, è l'ultimo dei nostri "cugini" ad averci lasciato.
Nella mostra ora siamo accolti dai suoni di un flauto: è una melodia suonata con una copia di un flauto ritrovato nel Baden, a Hohle Fels, risalente a 35.000 anni fa e ancora perfettamente funzionante. Ecco le caratteristiche dei sapiens: musica, pitture parietali, ornamenti funebri nelle sepolture. Nasce l'agricoltura. Ecco le riproduzioni di animali estinti a causa dei sapiens: anatra dell'Australia, che poteva toccare i due metri, il Dodo, il Moa della Nuova Zelanda, che poteva raggiungere i tre metri. Ecco entrare in scena il linguaggio: gli studiosi hanno cercato di vedere se fosse possibile ricostruire un troncone principale originario del linguaggio, ma al momento non risulta possibile.

La penultima sezione è dedicata all'Italia, il paese europeo con la più alta biodiversità animale e generale.
Scopriamo che un tempo in Sicilia c'erano gli elefanti: giunti dall'Africa durante le glaciazioni e rimasti isolati nel territorio, per via del nanismo insulare avevano dimensioni ridotte. Estinti al tempo dei Greci, i loro scheletri ispirarono a questi ultimi il mito dei Ciclopi. Ammiriamo qui i resti ritrovati nella grotta di Spinagallo. A Roma 400.000 anni fa c'erano invece gli ippopotami, come risulta da fossili trovati a Ponte Milvio.
Dopo una riproduzione dell'Albero della Vita della Cattedrale di Otranto, che tenta di spiegare l'evoluzione dell'uomo servendosi anche della fantasia e del mito, entriamo in una stanza dove si raccolgono le testimonianze degli ominidi in Italia. Questi ultimi risiedono nella penisola da un milione di anni fa, ma i primi esemplari non erano sapiens. Ci fu un momento in cui tre specie del genere homo convivevano in Italia: l'homo di Ceprano (forse heidelbergensis, ma con caratteristiche proprie), homo di Neanderthal e homo sapiens. La mostra infine raccoglie antiche epigrafi, come il Lapis Niger, esempi di scritture pre-romane ed etrusche.
Sono poi presenti anche giochi per bambini e non: installazioni interattive e multimediali, un orologio molecolare che misura la percentuale di DNA in comune fra le diverse specie e l’uomo (divertente scoprire la percentuale che abbiamo in comune con la banana!); un'installazione interattiva che spiega l’origine di alcuni oggetti della nostra quotidianità che utilizziamo nel corso di una giornata abituale, un gioco che dimostra come la nostra percezione della diversità delle razze sia illusoria.

Una mostra rivolta soprattutto alle giovani generazioni, che dovranno raccogliere il messaggio più importante: "la forte unità biologica e al contempo la straordinaria diversità culturale interna della specie umana"... se la nostra origine è stata "una" e poi ci siamo diversificati, forse è arrivato il momento di riscoprire la nostra unità. Siamo frutto di un adattamento all'ambiente e siamo anche noi l'ambiente, dobbiamo prendercene cura perché siamo soltanto una specie, come tale soggetta alla possibilità dell'estinzione.

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